Racconti inediti – Abigail Seran
Traduzione di Walter Rosselli
Racconto estratto dalla raccolta Un autre jour, demain– Editions Luce Wilquin
Altre opere della stessa autrice:
Marine et Lila : https://tst.testpreprod.ch/produit/marine-et-lila
Une maison jaune : https://tst.testpreprod.ch/produit/une-maison-jaune
Un posto
Mattino grigio. I completi scuri se ne vanno verso i palazzi. Qua e là alcune macchie colorate. Borsette per accentuare la femminilità. Visi cupi. Perfino il musicista ambulante ha l’aria stanca. Un lamento. Sul vasto piazzale, il rumore delle vite già in ritardo. L’asfalto che risponde ai passi affrettati. Moltitudini regolate dai vincoli. Il vento sferza. Vi si aggiunge la pioggia. Novembre. Fra alcuni minuti, i palazzi avranno inghiottito i passanti. Ancora due treni o forse tre, scaricheranno formiche, marea umana al seguito del proprio balletto. Nessuna collisione, tre a destra, quattro a sinistra e onde che si dissolvono secondo l’umore degli ascensori, delle scale mobili. Gli uffici si accendono, un piano dopo l’altro. Si vedono riempirsi le sale di riunione. La piazza quasi vuota, un ritardatario che corre. Una cenerentola deve frenare la propria corsa, ma non troverà il suo principe, torna sui suoi passi per raccogliere la scarpa. Peccato per la storia d’amore, spenta prima di cominciare. Ripasseremo per l’incantesimo. Tra otto o dieci ore si rifarà il tutto con le stesse persone. In senso inverso. Civiltà laboriosa. Il grande orologio che serve da riferimento annuncia la fine della folla. Si direbbe che stamani i treni siano in orario. A vederli in faccia, vanno in miniera. Oppure sta finendo l’autunno. Quel momento pallido prima che i lampioncini di Natale insaporiscano il quotidiano con la loro luce. La nettezza urbana occupa lo spazio. Pulire sporcizia talvolta immaginaria. Quartiere degli affardellati. Ordine e pulizia per la reputazione. Che non si dia una cattiva impressione. Tutto allineato, bene ordinato. In estate, alcuni si spingono fino al parco per sgranocchiare la razione sotto il sole del mezzodì. In questa stagione, ci sono solo i fumatori addossati alle facciate. Ma è ancora troppo presto. Dapprima guadagnare il pane per alcune ore prima di perderlo in volute.
Il silenzio è tornato. Non mi hanno visto. Perché, del resto? Non mi nascondo, ma neppure mi mostro. Mi è occorso molto tempo per tornare qui. Ho odiato tanto questo posto. Vita limitata, racchiusa fra quattro mura e un salario. Dodici, talvolta tredici volte l’anno. Quando hanno ristrutturato, ero stato lieto di far parte del piano sociale. Contrariamente agli altri, avevo dei progetti. Quasi una litania tanto la lista delle cose che avrei fatto “un bel giorno” era lunga. Passare un giorno intero alla biblioteca. Imparare il russo. Saltare col paracadute. Visitare Budapest, la Lapponia e Brasilia. Passare dai sogni sempre procrastinati alla concretezza della realtà fantasmatica. Prendersi il tempo per gli amici, la famiglia. Non avevo previsto che se ne sarebbe andata dopo nove mesi di condizione sociale in lutto. Non era nemmeno in programma che il mio migliore amico mi facesse notare che era il momento di lasciare il divano che occupavo da quattro mesi. Non era pianificato che le mie eccessive qualifiche per un posto come questo, lei capirà. E gli arretrati. Io che avevo sempre pagato le fatture fino all’ultimo centesimo, lasciato una generosa mancia e perfino alcune monetine ai cantanti nel metrò. Avevo detto non è grave. Si andrà avanti lo stesso. Ciò che non uccide rende più forti. Sarebbe stata solo una questione di settimane. Un po’ di pazienza. Avevo forse bevuto uno o due bicchieri di troppo. Tutti i giorni. Avevo ridotto il mio tenore di vita. Tardi. I progetti si sono trasformati in un solo obiettivo. Lavoro. Poi un altro. Un posto per dormire. Poi un ultimo. Non dover morire. Di fame. Di freddo.
La nettezza urbana se n’è andata. Questa sera il piazzale brillerà di mille fuochi. E i lavoratori alzeranno il naso per salutare il conteggio dei giorni che restano prima delle festività. Saranno felici di tornare a casa. Lasciare il lavoro, i vincoli, la palla al piede di un’esistenza troppo calibrata. Fine della giornata. Resta solo da stiparsi nei mezzi di trasporto prima di avere il diritto alla serenità della dimora.
E io andrò a dormire altrove. Dove queste lampadine illuminate non m’impediranno di assopirmi.
Abigail Seran
Novembre 2015
Tradotto dal francese da Walter Rosselli